La digitalizzazione dei processi di ricerca tra le “6 priorità” per la ripartenza post-Covid

La digitalizzazione di studi clinici e processi di ricerca emerge tra le priorità indicate dal settore scientifico italiano in un documento programmatico diffuso la scorsa settimana. Il documento veicola sei proposte per la ripartenza post-Covid ed è il risultato di un progetto portato avanti da Associazione Farmaceutici Industria (AFI), Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti (FADOI), Gruppo Italiano Data Manager (GIDM) e Società Italiana di Medicina Farmaceutica (SIMeF). Tra gli altri obiettivi anche quello di “snellire” le procedure di approvazione degli studi clinici, ad esempio con la centralizzazione in un unico comitato etico, per ogni protocollo e valido su base nazionale, in luogo dei molteplici comitati etici locali. Ma anche la possibilità di realizzare alcune procedure a domicilio del paziente e, in parallelo, il monitoraggio dello stesso da remoto. Oltre all’importanza della valorizzazione e formazione del personale impegnato nella ricerca clinica.

Obiettivo del documento, sottolineano le sigle firmatarie, è «fornire delle raccomandazioni nate dall’analisi della situazione creatasi nel corso dell’emergenza CoViD-19, allo scopo di riportare il nostro Paese a essere tra quelli più competitivi e quindi più attrattivi per gli investimenti in ricerca clinica».

Il documento programmatico sarà presentato e discusso mercoledì 1 luglio (dalle 15 alle 17) nel corso di un webinar gratuito a cui è possibile iscriversi a questo link.

Le sei proposte

  1. Approvazione in breve tempo degli studi clinici e digitalizzazione. Si raccomanda che la modalità di approvazione semplificata adottata per studi Covid possa essere mantenuta anche oltre il periodo di emergenza e applicata alle diverse tipologie di ricerca clinica (sperimentazioni interventistiche con farmaci o dispositivi medici, studi osservazionali/epidemiologici). Nello specifico, l’autorizzazione per gli studi e valida per tutto il territorio nazionale dovrebbe essere ottenuta con parere dell’Autorità Competente (ad esempio AIFA) e di un solo Comitato Etico scelto di volta in volta tra quelli operanti. Inoltre si propone di utilizzare la firma digitale per i contratti con i centri, e l’inoltro delle domande di autorizzazione esclusivamente per via elettronica.
  2. Coordinatori di ricerca/Data Manager e personale dedicato alla ricerca clinica. Il periodo di emergenza ha ulteriormente confermato come la figura dello Study Coordinator/Data Manager sia molto importante per la buona riuscita di uno studio clinico, in modo particolare a supporto dei medici sperimentatori. Si raccomanda pertanto l’adozione di misure atte ad agevolare il loro inserimento in organico in numero sufficiente e con adeguata preparazione.
  3. Partecipazione pazienti. I limiti agli spostamenti adottati in questi mesi hanno fatto emergere il problema dell’impossibilità o difficoltà di molti pazienti a recarsi presso i centri sperimentali per l’esecuzione delle visite e degli esami strumentali. Le misure proposte da AIFA hanno permesso di minimizzare il rischio per i pazienti di dover rinunciare alle cure e nel contempo hanno visto un sempre più ampio utilizzo di nuove tecnologie per rendere meno gravosa la partecipazione dei pazienti agli studi. Tra le proposte del documento, vi è quella di agevolare lo svolgimento delle visite ai pazienti anche da remoto ad esempio mediante video, utilizzo di telemedicina, telefono. Con le adeguate garanzie di qualità, incentivare la possibilità di effettuare procedure a casa del paziente tramite personale dedicato sotto la supervisione dello sperimentatore (ad esempio prelievi, somministrazione farmaco, questionari ecc.), e prevedere, ove necessario, la fornitura del farmaco direttamente a casa del paziente.
  4. Monitoraggio dello studio. Si raccomanda l’adozione di linee guida per agevolare il controllo di qualità (monitoraggio) dello studio da remoto e non solo presso il centro clinico, con sistemi adeguati e procedure uniformi tra i diversi centri di ricerca italiani. Si ritiene importante favorire l’implementazione di cartelle cliniche elettroniche validate consultabili anche da remoto dal personale autorizzato a queste verifiche di qualità.
  5. Protezione dati personali. Si raccomanda la definizione di linee guida condivise che supportino nella stesura di una modulistica più snella, favoriscano la semplificazione delle procedure e prevedano la possibilità di somministrare il consenso informato anche da remoto, in situazioni eccezionali e qualora i pazienti siano impossibilitati a raggiungere i centri di ricerca.
  6. Fondi per la Ricerca. Si raccomanda che i finanziamenti provenienti da sponsor industriali, associazioni o altri soggetti privati siano totalmente utilizzati e reinvestiti in ricerca e che, pur nella massima trasparenza, le procedure di assegnazione e gestione dei fondi per gli sperimentatori vengano rese meno burocratizzate e quindi più celeri.

La collaborazione tra Big Pharma e start-up nel nuovo ecosistema digitale della salute

La pandemia di Coronavirus ha impresso una forte accelerazione a un fenomeno già in atto: la convergenza tra tecnologie digitali e processi sanitari. Il tema è stato al centro del Simposio Webinar “Digital & Pharma negli anni 20. Nuove opportunità di sviluppo per il Paese al tempo di COVID-19” organizzato da AFI – Associazione Farmaceutici Industria, che si è tenuto lo scorso 11 giugno. In apertura del Simposio Massimo Beccaria, Vice-President di Advice Pharma, Co-founder e CEO di daVinci Digital Therapeutics, Co-founder e CEO di Alfa Technologies International Inc., ha approfondito il concetto di «ecosistema digitale della salute» indagando le sinergie tra Big Pharma e start-up.

Il concetto di ecosistema digitale

Un ecosistema digitale, per sua natura, si ispira alla struttura degli ecosistemi naturali in particolare per gli aspetti relativi alla concorrenza e alla collaborazione tra entità diverse. Si tratta dunque di un sistema socio-tecnico aperto, distribuito, adattivo con proprietà di auto-organizzazione, scalabilità e sostenibilità.

Le caratteristiche che lo definiscono riguardano l’insieme delle tecnologie digitali in grado di migliorare lo stato di salute di una persona o popolazione, la domanda di servizi e terapie digitali migliori, la presenza di attori diversi in competizione e alla ricerca di un equilibrio continuo.

Date le premesse, all’interno dell’ecosistema digitale si è sviluppata la necessità di nuovi “soggetti”, aziende dedicate a soddisfare nuovi bisogni di prodotti e servizi: le start-up. Mentre l’esigenza di utilizzare tali prodotti e servizi è in capo alle Big Pharma.

Tipologie di collaborazione tra start-up e Big Pharma

Le tipologie di collaborazione tra queste due entità all’interno dell’ecosistema digitale possono seguire differenti percorsi. Un caso è, ad esempio, il rapporto di fornitura in cui la start-up ha sviluppato un prodotto di valore e Big Pharma acquista tale prodotto, ma non ne detiene i diritti. Non diventa suo, insomma. Altro caso è invece la partnership tra i due soggetti. Questo rapporto si attua quando la Big Company e la start-up producono insieme il progetto, in questa ipotesi il beneficio è condiviso tra gli attori. Altre tipologie di collaborazione tra le due entità sono le acquisizioni parziali (quando la Big Pharma prende parte delle quote della start-up) o quelle totali (quando la start-up viene comprata e portata nell’organico della Big Pharma). Un altro caso di collaborazione è quello dell’incubatore: qui è la Big Pharma stessa a creare un ecosistema, e da questo “ambiente” attinge le competenze necessarie al funzionamento dell’ecosistema stesso.

Le barriere alla collaborazione

Esistono dei limiti alla collaborazione tra i due soggetti legati alla loro natura specifica. In primo luogo un limite è dettato dalle differenze riguardo a visione e competenze. Le società del pharma sono legate a tempi lunghi e sono connesse beni materiali, di conseguenza l’integrazione di prodotti e servizi associata ai loro beni determina un nuovo assetto organizzativo. Le start-up sono invece connesse a beni immateriali e dedicate a innovazioni tecnologiche, in questo caso le tecnologie aiutano ad avere una velocità di sbocco sul mercato superiore. Un altro limite si riscontra nel tipo di organizzazione: se da un lato le Big Company spesso presentano un assetto organizzativo poco incline all’innovazione e votato al contenimento del rischio, in quanto in molti casi si tratta di grandi organizzazioni sparse in diversi Paesi che operano in un contesto estremamente normato (il che ha come conseguenza una scarsa “elasticità” sul fronte dell’innovazione); le start-up sono invece più “fluide” e il loro focus è tutto rivolto all’innovazione. Infine c’è la barriera legata al concetto di strategia: mentre le Big Pharma hanno una visione sul prodotto nel breve periodo, che diventa poi discontinua nel lungo periodo, le start-up hanno una prospettiva “monoprodotto”, il che le porta a tendere a capitalizzare il proprio investimento per essere vendute (e alla necessità di allineamento tra founder).

Le sinergie tra i due attori

Al di là dei potenziali limiti appena descritti, le sinergie sono evidenti, e sono legate alla richiesta da parte del mercato di standard e servizi a valore aggiunto che impongono una riflessione soprattutto lato organizzativo. Con l’inclusione di una start-up, ad esempio, l’azienda può creare valore attraverso un partner dedicato al progetto o servizio senza dover integrare nella governance aziendale le attività presidiate dal partner. Si aprono poi nuove prospettive di mercato: la possibilità di unire un servizio o una terapia digitale al proprio prodotto porta a creare un maggior valore del prodotto stesso e cambiare nel tempo le dinamiche aziendali. Un’altra sinergia interessante riguarda la fidelizzazione, dal momento che i pazienti curati con una terapia digitale sono censiti e posseggono uno storico. Una struttura di analisi del dato e gestione del digitale dà nuove prospettive nella ricerca medica, con la creazione di database per lo studio e l’analisi clinica, o lo sviluppo di applicazioni di telemedicina. Si creano, in sintesi, nuove fonti di dati in grado di tracciare tutto, con evidenti vantaggi sul fronte della ricerca e dello sviluppo in campo farmaceutico. In che porta a una trasversalità tra big pharma e start-up data dalla connessione ai “beni materiali”, come anticipato in precedenza, e quelli immateriali, e le case farmaceutiche potranno usufruire di questa sinergia.

Gli scenari futuri

Si è detto dell’accelerazione sul settore, legata alla pandemia ma anche dalla nascita di nuove esigenze legate agli ecosistemi digitali. In questo panorama si possono già ipotizzare gli scenari futuri generati dalla sinergia tra Big Pharma e start-up.
Una prospettiva evidente è quella legata alla creazione di valore diretto sul prodotto o servizio. Le Big Pharma avranno acquisito dal mercato o disporranno (anche esternamente) di soluzioni digitali direttamente connesse all’ecosistema che prevede centri di cura e pazienti. Il valore dei loro prodotti non sarà più solo materiale ma anche immateriale, e parte dei loro utili saranno legati a sistemi di servizi o terapie immateriali, come ad esempio terapie digitali in add on, reti di supporto ai pazienti con lo sviluppo di tecnologie di Artificial Intelligence e così via.

Nel caso della creazione di valore diretto sul prodotto, in accordo con la creazione di valore della catena di Porter (un modello teorizzato da Michael Porter che permette di descrivere la struttura di un’organizzazione come un insieme limitato di processi), le case farmaceutiche (HQ) inizieranno a investire con servizi a valore aggiunto sui propri prodotti disponibili sul mercato (ad esempio Psp o telemedicina). Nel caso della creazione di valore diretto con servizi si assisterà a una trasformazione organizzativa completa e allo sviluppo di tecnologie che saranno disponibili in maniera massiva e intimamente connesse ai prodotti, come ad esempio terapie digitali collegate ai prodotti, dipartimenti dedicati o connessione di aziende che lavorano in esclusiva per le Big Pharma.

 

Un webinar sulle esperienze di sviluppo Digital per il Pharma

La convergenza delle tecnologie digitali con i processi sanitari, accelerata dalla pandemia di Covid-19, sarà al centro del Simposio Webinar “Digital & Pharma negli anni 20. Nuove opportunità di sviluppo per il Paese al tempo di COVID-19” organizzato da AFI – Associazione Farmaceutici Industria, che si terrà oggi, dalle 15 alle 17.

Massimo Beccaria, Vice-President di Advice Pharma, Co-founder e CEO di daVinci Digital Therapeutics, Co-founder e CEO di Alfa Technologies International Inc. sarà presente nel panel di relatori.

Le esperienze recenti di Telemedicina e Terapie Digitali sono spesso «espressione» del lavoro di startup e microsocietà che si trovano a dover fare i conti con una serie di limiti, come il mancato interesse da parte dei settori più tradizionali della ricerca sulla salute o, in rari casi, l’essere percepite come potenziali minacce all’uso consolidato delle terapie tradizionale.

A queste criticità si somma una “parziale” preparazione da parte delle istituzioni alla valutazione del loro rimborso anche quando i risultati sono comparabili a quelli delle terapie tradizionale.

Uno sbilanciamento dei diritti che potrebbe mettere a rischio o rallentare la ricerca sulla salute?

A queste e altre domande risponderanno i relatori del Simposio Webinar.

LuCApp tra i più avanzati esempi di Digital Medicine in Italia

L’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma entra a far parte del progetto LuCApp (Lung Cancer App), l’applicazione mobile sviluppata da ricercatori e medici per promuovere il monitoraggio e la gestione in tempo reale dei sintomi dei pazienti affetti da neoplasia polmonare. LuCApp si configura come uno dei più avanzati esempi di telemedicina in Italia.

Il team guidato dalla dottoressa Maria Rita Migliorino (Principal Investigator del progetto) si unisce agli altri tre centri attivi nella sperimentazione: l’Istituto Nazionale dei Tumori – INT di Milano, la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, e l’Azienda Ospedaliero-Universitaria San Luigi Gonzaga di Orbassano.

Il progetto nasce nel 2018 dalla necessità di nuovi modelli di cura, in cui al modello ospedaliero si affianchino interventi in “autogestione” con l’obiettivo di aiutare i pazienti e le loro famiglie a prendersi cura di sé lungo il percorso di cura del cancro. A questo fine è stato avviato uno studio clinico progettato per valutare l’usabilità, l’efficacia e il rapporto costo-efficacia di LuCApp rispetto agli standard di cura. Lo studio LuCApp è condotto e sponsorizzato dall’Università Bocconi di Milano. AdvicePharma in qualità di  Contract Research Organization (CRO) dello studio, e in collaborazione con l’Università Bocconi, ha realizzato la app per la gestione del paziente, LUCApp, la tecnologia alla base dello studio e quella di raccolta dati attraverso la tecnologia proprietaria di gestione dati ICE (Integrated Clinical Trial Environment).

L’applicazione per il cancro ai polmoni (LuCApp) è stata resa disponibile per la prima volta su Playstore (negozio online Android) e su iTunes (negozio online Apple) ad aprile 2018.
 
Il protocollo LuCApp

Il protocollo LuCApp è uno studio di 24 settimane a due bracci, non in cieco (non-blinded), multicentrico, parallelo, randomizzato e controllato. Un totale di 120 pazienti adulti con diagnosi di tumore polmonare idonei a ricevere trattamenti farmaceutici sono stati assegnati 1:1 a ricevere cure standard o LuCApp in aggiunta alle cure standard nei siti oncologici del Nord Italia.

Durante il periodo di trattamento, LuCApp consente il monitoraggio giornaliero e la classificazione di un elenco di sintomi, e fa scattare l’allarme ai medici in caso di raggiungimento di soglie di gravità predefinite. I pazienti completano una valutazione di base e una serie di misure di esito valide e affidabili riferite al paziente ogni 3±1 settimana, fino a 24 settimane.

Gli obiettivi dello studio

L’obiettivo primario dello studio sarà quello di determinare se LuCApp, migliorando l’auto-monitoraggio degli effetti collaterali indotti rispetto agli attuali standard di cura, può portare a un aumento dei punteggi di Health Related Quality of Life (HRQoL), ossia la qualità della vita dei pazienti e di chi li assiste (care-giver), misurati dal questionario FACT-L (Functional Assessment of Cancer Therapy-Lung) dall’inizio del trattamento farmacologico per il cancro ai polmoni e fino a 12 settimane, e 24 settimane di follow-up.

Altri obiettivi secondari dello studio saranno la valutazione dell’impatto di LuCApp durante il trattamento farmacologico per il cancro ai polmoni fino a 12 settimane, e 24 settimane di follow-up dalla data di inizio della terapia su una serie di esiti.
A questo si affiancheranno i risultati relativi alla Lung Cancer Subscale, il questionario EuroQoL 5D-5L, la Hospital Anxiety and Depression Scale, il modulo breve per l’indagine sui bisogni di assistenza, il questionario di usabilità dell’applicazione e la Zarit Burden Interview, dedicata al principale care-giver.

La necessità di nuovi modelli

Come anticipato, LuCApp nasce dalla necessità di nuovi modelli nel campo della terapia oncologica, che portino all’attenzione non soltanto la cura della patologia, ma anche la frequenza dei ricoveri ospedalieri, i relativi costi, nonché la qualità della vita del paziente e di chi lo assiste (HRQoL). Lo sviluppo di strumenti di autogestione è, dunque, un’evoluzione che andrà a incidere sulla connessione tra Life Science e Information Technology, con un forte impulso sulla sanità mobile (mHealth).

Il campo però non si restringe al solo ambito oncologico. E la recente pandemia di Coronavirus ha messo in luce la necessità di tali  strumenti anche nella gestione ospedaliera e nello sviluppo di nuovi metodi di gestione del paziente in remoto. Nel 2017 erano disponibili oltre 325mila applicazioni mHealth nei principali app store e oltre 3,6 miliardi di download, con un tasso di crescita di oltre il 12,5% rispetto all’anno precedente.
Secondo i dati diffusi dalla SDA Bocconi delle 50 imprese al mondo a più alta intensità in R&S, 23 producono biotecnologie e farmaci. Un argomento che sarà approfondito oggi nel webinar “LIVE Event | Il futuro delle Life Sciences oltre la pandemia”.

EIT Health, €7 mln per accelerare l’assistenza sanitaria digitale

Biotecnologie, diagnostica, salute digitale e tecnologia medica guidano la nuova tendenza che porta anche il non profit e le organizzazioni internazionali a stabilire finanziamenti in risposta all’emergenza COVID-19. EIT Health, la divisione dedicata alla salute dell’European Institute of Innovation and Technology (EIT), ha stanziato sette milioni di euro di finanziamenti tramite l’iniziativa COVID-19 Rapid Response per supportare progetti a breve termine con l’obiettivo di contribuire alla gestione della pandemia di SARS-CoV-2.

EIT Health, che riunisce circa 150 partner provenienti dal mondo accademico, dalla ricerca e dall’industria farmaceutica e sanitaria, nonché provider di servizi sanitari, ha promosso il finanziamento di 15 progetti di innovazione sanitaria in tutta Europa. I progetti, che saranno completati entro la fine del 2020,  sono gestiti da 41 partner con il coinvolgimento diretto dei servizi sanitari per garantire che gli strumenti finanziati possano essere costruiti in linea con le esigenze cliniche, e implementati il più rapidamente possibile. L’obiettivo di EIT Health è accelerare il cambiamento nell’assistenza sanitaria digitale, dove l’urgenza era già necessaria prima della pandemia, aumentare la competitività dell’industria europea, migliorare la qualità della vita dei cittadini europei e la sostenibilità dei sistemi sanitari.
«COVID-19 ha evidenziato la nostra vulnerabilità, ma ci permette anche di riunirci e collaborare per trovare nuovi modi per rafforzare i nostri sistemi sanitari e creare soluzioni per meglio equipaggiare gli operatori sanitari che lavorano instancabilmente per farci superare questo momento estremamente difficile», ha detto Jan-Philipp Beck, CEO di EIT Health. «I progetti che abbiamo selezionato mostrano tutti un grande potenziale utilizzando la potenza della rete EIT Health per sviluppare soluzioni all’avanguardia».

Tra i progetti finanziati emergono lo sviluppo di un test diagnostico, guidato dall’Imperial College di Londra, che ha l’obiettivo di rilevare basse concentrazioni del virus e consentire una diagnosi più precoce. Un altro progetto è la soluzione per il triage clinico FastRAI, sviluppata dalla TU Munich e basata su teleradiologia e intelligenza artificiale (AI), che consente agli operatori sanitari di identificare i pazienti che necessitano di cure in ospedali e quelli che possono essere gestiti in remoto a domicilio. Un altro progetto, Covidom Community, guidato da AP-HP in Francia, creerà un’applicazione web per facilitare la gestione dei pazienti infettati dal virus gestiti presso il loro domicilio, con l’utilizzo del telemonitoraggio; l’applicazione sarà in grado di rilevare rapidamente (con un’allerta) la necessità del ricovero in ospedale quando le condizioni del paziente peggiorano. A questo si affiancano soluzioni digitali per la formazione degli operatori sanitari e risorse di dati per migliorare la gestione, la prognosi e i risultati dei pazienti; iniziative basate sui dati per identificare i biomarcatori associati alla progressione di COVID-19 e alla risposta al trattamento nelle prime fasi della malattia; misure per ridurre la carenza di dispositivi di protezione individuale (DPI), prodotti sanitari e forniture mediche.

Beck ha detto che COVID-19 accelererà il cambiamento nell’assistenza sanitaria digitale, dove l’urgenza era già necessaria prima della pandemia. «In futuro assisteremo a una drastica accelerazione della eHealth e della telemedicina che erano in ritardo, e adesso ci attendiamo uno sviluppo molto più veloce».

La spinta di COVID-19 alla gestione digitale del dato clinico

La pandemia COVID-19, tra i numerosi effetti, ha avuto anche quello di accelerare l’adozione diffusa di software di collaborazione e comunicazione per consentire l’assistenza medica a distanza e ridurre il rischio di trasmissione del SARS-CoV-2 tra i pazienti e gli operatori sanitari.

L’impulso alle nuove sperimentazioni di telemedicina si è reso necessario sia nella gestione dei pazienti cronici, ossia quanti hanno necessità periodiche di consulti e visite mediche, sia per la sperimentazione di nuove terapie. La digitalizzazione è alla base di questi nuovi sviluppi e ha portato all’affermazione della telemedicina oltre che dell’organizzazione interna, anche ospedaliera, sul piano virtuale.
Un lungo articolo pubblicato questo mese su The Lancet descrive le principali sperimentazioni avviate presso il Massachusetts General Hospital di Boston, negli Stati Uniti, in cui per la gestione dell’epidemia e il mantenimento della gestione ospedaliera, sono stati “istituzionalizzati” due sistemi: i turni virtuali del personale sanitario e un sistema di virtual intercom communication. Quindi sebbene i precedenti sforzi per espandere le offerte di assistenza virtuale siano stati accolti con resistenza, la COVID-19 ha evidenziato l’enorme valore dell’erogazione di cure a distanza e mai prima di questa pandemia erano emerse, con tanta forza, le lacune nella costruzione di solidi sistemi di condivisione dei dati per l’analisi su larga scala e in (quasi) real-time nel settore sanitario.

Sempre su The Lancet è stato fatto il punto sull’enorme mole di dati raccolti a livello ospedaliero, dalla gestione delle cartelle cliniche elettroniche, ai dati fisiologici, di laboratorio, di imaging, decisionali e di trattamento. Tutti dati registrati, e da cui si potrebbero trarre importanti informazioni per l’implementazione delle indagini epidemiologiche, oltre che per guidare i protocolli di trattamento quando i dati degli studi clinici non esistono o potrebbero essere troppo lenti per informare una situazione in rapida evoluzione. «Mentre il numero di sperimentazioni aumenta, i dati di trattamento in tempo reale si accumulano, immagazzinati nei sistemi ospedalieri», scrive The Lancet. «Quando si considera COVID-19, l’intuizione che potremmo ottenere da un insieme di dati raccolti e disponibili al pubblico, analizzati da ricercatori di istituti accademici e dell’industria, è inestimabile e necessaria».

Il ruolo delle società che fanno Clinical Data Management

Emerge come i dati siano alla base dello studio. Ma senza l’utilizzo di tecnologie per la loro gestione la loro utilità si disperde. È in questa sede che entrano in campo le società che si occupano di gestione e archiviazione dei clinical data.
Advice Pharma, in questo settore ha sviluppato il progetto HIBAD, che consente una gestione efficace dei dati clinici, integrando le informazioni disponibili presso le diverse strutture sanitarie e di ricerca, con l’obiettivo di utilizzare tali dati nella clinical research, anche con il supporto di strumenti di Artificial Intellingence (AI) e Machine Learning. Hanno partecipato allo sviluppo di HIBAD anche BioRep Srl, società del Gruppo Sapio, l’IRCCS Eugenio Medea, e Diabetes Diagnostics Srl. HIBAD prevede la costruzione di un sistema integrato di raccolta di campioni biologici e dati clinici per la ricerca biomedica, basato sulla tecnologia di gestione dati ICE (Integrated Clinical Trial Environment) di Advice Pharma.

Di recente si sono mosse sia la Food and Drug Administration (FDA) sia la European Medicines Agency (EMA) per incoraggiare un maggiore utilizzo delle tecnologie di condivisione dei dati e, sempre nel rispetto delle GCP (Good Clinical Practice), si assiste all’avvio di un nuovo modello, guidato dalla telemedicina, che si disancora dalle visite periodiche in loco e punta sulle tecnologie digitali che hanno un impatto positivo sia sulla tutela del paziente (che non è esposto a situazioni di pericolo, come nel caso della recente pandemia) sia sulla conduzione di studi e trial clinici.

RESPONSE, da Bari lo studio no-profit sull’efficacia di Cangrelor nel trattamento delle PCI

È stato approvato, lo scorso novembre, lo studio RESPONSE, che mira a indagare l’efficacia del trattamento di Cangrelor, un inibitore del recettore P2Y12 (il recettore coinvolto nel processo di aggregazione piastrinica), nella riduzione delle complicanze ischemiche nei soggetti sottoposti a intervento coronarico percutaneo (PCI).

RESPONSE è un Registro osservazionale prospettico, multicentrico, in fase di avvio presso l’Ospedale Santa Maria di Bari, promosso dalla Fondazione Gise Onlus, con il supporto di Advice Pharma, e si inquadra nel rispetto della normativa sugli studi senza finalità di lucro (no-profit), così come stabilito dal Decreto Ministeriale del 17 dicembre 2004. Obiettivo della Fondazione Gise Onlus è quello di promuovere lo sviluppo della conoscenza umana nel settore medico-scientifico, in particolare nel campo delle malattie cardiovascolari e della Cardiologia Interventistica. Sul solco della ricerca, Advice Pharma ha supportato l’attivazione del Registro clinico e, in qualità di Contract Research Organization (CRO), sarà responsabile del clinical data management, tramite la tecnologia proprietaria di gestione dati ICE (Integrated Clinical Trial Environment), oltre che del supporto ai centri di ricerca per tutta la durata dello studio.

Per l’interesse scientifico ricoperto da RESPONSE, connotabile come rilevante per il miglioramento della pratica clinica in termini di sviluppo di nuove strategie terapeutiche che mirano a un migliore rapporto costo/efficacia del sistema sanitario, lo studio è parte integrante dell’assistenza sanitaria.

Cos’è Cangrelor

Cangrelor, come anticipato, è un nuovo inibitore del recettore P2Y12 per via endovenosa ad azione rapida e diretta, e si è dimostrato efficace nel ridurre le complicanze ischemiche peri-PCI: nei soggetti sottoposti a intervento coronarico percutaneo, porta a una riduzione dei rischi trombotici senza aumentare quelli emorragici. I recettori piastrinici P2Y12, infatti, svolgono un ruolo chiave nell’attivazione delle piastrine e nella formazione dei trombi. Di conseguenza, gli antagonisti dei recettori P2Y12 sono la pietra angolare della prevenzione secondaria degli eventi aterotrombotici in pazienti sottoposti a PCI. E Cangrelor permette un’inibizione piastrinica periprocedurale efficace e controllabile. Data questa premessa, il suo utilizzo potrebbe ridurre gli eventi ischemici a breve termine in grandi studi clinici randomizzati.

Gli obiettivi dello studio

RESPONSE ha due obiettivi principali:

  1. valutare l’efficacia e la sicurezza nell’utilizzo di Cangrelor in pazienti con Stable Coronary Artery Disease (SCAD) con PCI Complesse;
  2. valutare l’utilizzo di Cangrelor e confrontare le sue prestazioni con il pre-trattamento con gli inibitori di P2Y12 e con la loro somministrazione solo dopo la procedura.

Lo studio coinvolge pazienti con oltre 65 anni di età al momento della firma del consenso informato, che presentano SCAD ad alto rischio. Il tempo di arruolamento è pari a 12 mesi, e l’ultimo follow-up avviene 30 giorni dopo l’arruolamento (il primo e il secondo sono rispettivamente un’ora e 48 ore dopo l’arruolamento). RESPONSE prevede 550 soggetti disponibili al trial in quattro centri partecipanti.

Lo studio sarà condotto secondo Good Clinical Practice, in accordo con la dichiarazione di Helsinki e successive revisioni, e in accordo con le procedure stabilite dal protocollo e in osservanza del D.Lgs 211/2003 (Attuazione della direttiva 2001/20/CE relativa all’applicazione della buona pratica clinica nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico).

OCSE: 7 azioni per rafforzare l’Open Science

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ha indicato 7 azioni per superare la crisi innescata dalla COVID-19, tra queste la realizzazione di infrastrutture e piattaforme per l’archiviazione e l’accesso ai dati clinici. La ricerca, in questo come in altri settori, fornisce già esempi. È il caso del portale HIBAD sviluppato da AdvicePharma

 

La presenza di infrastrutture adeguate, che comprendano anche una «rete globale di repository certificati, affidabili e interconnessi», è una necessità emersa con forza nel corso della pandemia di COVID-19, e sarà un nodo centrale per la ripartenza nel dopo crisi. A sottolineare l’urgenza di queste infrastrutture è la stessa Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) che, in un’analisi pubblicata sul suo sito dal titolo «Why open science is critical to combatting COVID-19» nella sezione OECD Policy Responses to Coronavirus (Covid-19) dedicata alla “Resilient Healthcare” ha indicato sette azioni che possono contribuire a rafforzare l’open science, rimuovendo «gli ostacoli al libero flusso di dati e idee di ricerca» in risposa alla crisi innescata dalla pandemia di Coronavirus. Tra queste, appunto, la necessità di creare infrastrutture e piattaforme che garantiscano l’archiviazione dei dati e la possibilità di accesso in sicurezza a tali informazioni.

Questioni in sospeso

L’Organizzazione internazionale parla di «questioni in sospeso» che limitano ancora la fiducia e l’accesso agli open data, ma sottolinea come, già nelle precedenti epidemie, la condivisione dei dati sia stata un fattore chiave per combattere la malattia. E mentre i dati su COVID-19 continuano a essere condivisi, l’Ocse elenca una serie di sfide ancora in corso. In primo luogo non tutti i dati sono FAIR (Findable, Accessible, Interoperable and Reusable), o non lo sono ancora; altri problemi riguardano la dispersione delle fonti, la difficoltà di accesso alle cartelle cliniche; l’assenza, in alcuni Paesi OCSE, di una legislazione volta a promuovere l’interoperabilità e ad evitare il blocco delle informazioni.

I 7 comandamenti OCSE sulla condivisione dei dati

A fronte di questi limiti, l’OCSE individua, come anticipato, sette azioni per rafforzare l’open science:

  1. Realizzare modelli di «governance dei dati» in cui si garantisca l’accesso alle informazioni per gli studi scientifici e, al contempo, si monitori la privacy individuale.
  2. Creare quadri normativi che consentano l’interoperabilità tra network sanitari e data provider (si attendono, in proposito, le raccomandazioni del gruppo di lavoro COVID-19 interno alla Research Data Alliance).
  3. Coinvolgere tutti gli stakeholder (pubblici, privati e società civile) nella creazione di un modello di governance per l’utilizzo sicuro dei dati, che includa politiche di trasparenza e meccanismi di responsabilità (etici e normativi).
  4. Definire incentivi e premi per i ricercatori che consentono la divulgazione e la condivisione “immediata” dei dati. Azione, questa, che dovrebbe essere favorita dalle politiche nazionali e istituzionali al fine di garantire la condivisione dei dati come “norma”.
  5. Assicurare un’infrastruttura adeguata (inclusi gli archivi di dati e software, l’infrastruttura di calcolo e le piattaforme di collaborazione digitale) che includa una rete globale di repository certificati, affidabili e interconnessi con standard compatibili per garantire la conservazione a lungo termine dei dati FAIR su COVID-19, e la preparazione ad eventuali emergenze future.
  6. Assicurare la presenza di un adeguato capitale umano e di capacità istituzionali per gestire, creare, curare e riutilizzare i dati della ricerca.
  7. Consentire l’accesso oltre confine alla ricerca sui dati sensibili, su base limitata ad ambienti sicuri. Questo riguarda principalmente i dati clinici che non possono uscire dall’archivio originale, ma che potrebbero essere potenzialmente accessibili tramite algoritmi mobili che potrebbero utilizzare i dati per rispondere a specifiche domande poste nella ricerca.

HIBAD

L’analisi dell’OCSE arriva in un momento in cui tutta la comunità medica e scientifica si trova a richiedere strumenti all’avanguardia che consentano risposte concrete e immediate alla crisi. Ma la ricerca, in questo come in altri settori, fornisce già esempi. È il caso del portale per la ricerca HIBAD sviluppato da AdvicePharma assieme a BioRep Srl, società del Gruppo Sapio, l’IRCCS Eugenio Medea, e Diabetes Diagnostics Srl. HIBAD prevede la costruzione di un sistema integrato di raccolta di campioni biologici e dati clinici per la ricerca biomedica, basato sulla tecnologia di gestione dati ICE (Integrated Clinical Trial Environment) di AdvicePharma, supportato da servizi biotecnologici e digitali ai massimi livelli di qualità.

La piattaforma digitale di HIBAD fornirà strumenti informatici per il trattamento e l’analisi di grandi quantità di dati digitali, il data-mining, la validazione di ipotesi scientifiche e la generazione di nuove ipotesi interpretative dei dati, grazie tecnologie di machine learning e intelligenza artificiale sviluppate nell’ambito del progetto. Questi sistemi esperti e di machine learning permetteranno di estrarre, dall’analisi integrata di dati clinici, esami di laboratorio e marker genetici, sierici e funzionali, nuovi indicatori diagnostici e prognostici ed elementi di indirizzo per il trattamento preventivo, terapeutico, riabilitativo. L’obiettivo è la creazione di una infrastruttura di archiviazione informatica e interrogazione dei database clinici collegati alla nuova biobanca che in futuro andrebbe a integrarsi con le strutture per la ricerca dello Human Technopole (ex sede Expo 2015) di Milano.

Milano for Covid, superare la pandemia con un approccio multidisciplinare

Un progetto multidisciplinare, intellettualmente laico e collaborativo. È quanto portato avanti da “Milano for Covid – Uniti per informare”, l’iniziativa promossa dal dottor Eric Manasse e che coinvolge un team composto da 40 esperti in differenti ambiti: sanità, economia e ricerca, industria e ambiente, area legale e sicurezza informatica; nato con l’obiettivo di generare analisi, creare report e informare cittadini e istituzioni.

La squadra di Milano for Covid intende offrire un approccio polisettoriale al superamento dell’emergenza innescata dalla pandemia Covid-19. Tra gli obiettivi, in particolare, il contributo della comunità scientifica per l’avvio e la costruzione di nuovi modelli e dinamiche comunicative volte a veicolare contenuti certi, ideologicamente “laici” e tempestivi. E perché ciò avvenga è necessaria una visione “omnicomprensiva e multidimensionale in grado di elaborare analisi, informazioni e proposte chiare, a beneficio di chi decide e dell’intera collettività”.

«Milano for Covid è la dimostrazione che la muldisciplinarietà è la base della crescita collettiva», sostiene Alessandro Ferri, Managing Director di AdvicePharma tra gli esperti coinvolti nell’ambito Economia e Ricerca. «Il contributo fornito da ciascun professionista, sotto la guida del dottor Manasse, è una spinta a superare l’individualità delle proprie competenze e dei propri ambiti di attività, per raggiungere un obiettivo comune, quello di una società non soltanto “sana” ma anche “consapevole” e “informata”».

Come riportato sul sito, il gruppo di lavoro “Uniti per informare” abbraccia nove macro discipline e altrettante nazionalità fra i propri membri, e intende avanzare proposte concrete applicabili in diverse aree: la definizione di un nuovo piano di emergenza pandemico, fondato su un sistema decisorio centralizzato e in grado di abbracciare tanto gli ambiti medici e sanitari, quanto quelli legali e comunicativi; la creazione di una nuova relazione fra pubblico e privato, in cui l’Unione Europea si configuri come soggetto autorevole in grado di agire nell’interesse di tutti gli Stati membri, armonizzandone le differenze e valorizzandone le peculiarità; lo sviluppo di nuovi modelli di business che guardino alla società nel suo insieme, alle sue componenti più deboli e alle generazioni future; una spinta definitiva verso la digitalizzazione, estesa all’intera società attraverso una formazione capillare e infrastrutture all’altezza dei nuovi flussi di dati. Il tutto dando nuova centralità al settore medico che, anche nell’emergenza Covid-19, si è dimostrato vera guida socio-scientifica nei Paesi colpiti. E questo anche attraverso la creazione di cluster che lo rendano sempre più autonomo e indipendente.

Scienza e nuove tecnologie, insieme nella lotta a COVID‑19

AIFA approva nuovo studio sull’eparina. Coordinato dall’ospedale Niguarda di Milano, lo studio coinvolge altri 13 centri ospedalieri e oltre 2.700 pazienti. AdvicePharma mette a disposizione le sue tecnologie di raccolta e gestione dati

L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) è impegnata da settimane in uno sforzo capillare, a livello internazionale e nazionale, per la ricerca e la sperimentazione di trattamenti per il contrasto alla COVID‑19, patologia associata all’infezione da coronavirus SARS‑CoV‑2.
In questo quadro generale, la Commissione Consultiva Tecnico Scientifica di AIFA il 14 aprile ha autorizzato l’avvio di un nuovo studio multicentrico randomizzato sul trattamento di pazienti affetti da COVID‑19 con l’exopanarina, un’eparina a basso peso molecolare utilizzata nella profilassi e nel trattamento del tromboembolismo venoso.
Sarà appunto l’exopanarina al centro del nuovo studio “X‑COVID‑19” coordinato dall’ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda. I “principal investigator” dello studio sono Marco Cattaneo, dell’Università degli Studi di Milano e ASST Santi Paolo e Carlo, e Nuccia Morici dell’ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda. Altri 13 centri ospedalieri tra Lombardia, Piemonte, Liguria e Marche parteciperanno alla sperimentazione (qui l’elenco completo degli ospedali che partecipano al trial).

Uno sforzo congiunto tra centri sanitari di eccellenza e utilizzo delle nuove tecnologie che vede, tra gli attori, anche AdvicePharma. La società specializzata nel clinical data management ha messo a disposizione dello studio “X‑COVID‑19” le sue tecnologie di raccolta e gestione dei dati con la piattaforma ICE (Integrated Clinical Trial Environment), software elettronico di acquisizione dati clinici validato, che consente agli sperimentatori di costruire i propri studi, semplificare il processo di raccolta dei dati e al contempo ridurre significativamente i costi della sperimentazione clinica.

La sperimentazione clinica X‑COVID‑19 coinvolgerà oltre 2.700 pazienti di almeno 18 anni di età, ricoverati in ospedale con conferma laboratoristica di infezione da SARS‑CoV‑2. I pazienti verranno assegnati casualmente (“randomizzati”) entro 12 ore dall’ospedalizzazione a trattamento con enoxaparina sottocutanea 40 mg una volta al giorno (dosaggio standard per la tromboprofilassi) o con enoxaparina a dosaggio doppio di 40 mg due volte al giorno. L’obiettivo è quello di verificare se il dosaggio doppio di enoxaparina sia più efficace di quello standard nel prevenire il tromboembolismo venoso dei pazienti COVID‑19, che, secondo alcune segnalazioni, sono a rischio particolarmente elevato per questa complicanza. Parallelamente, si confronterà l’effetto dei due dosaggi di enoxaparina su altre complicanze, quali la necessità di ventilazione e la comparsa di infarto miocardico o ictus cerebrale.